Le ricerche neuroscientifiche sono univoche. Le donne sono più efficaci degli uomini in “smart-working”. Il nuovo modo di lavorare, scoperto in pandemia, ha generato 2 cambiamenti: videocall e agenda caotica.
L’uso massiccio degli strumenti di videoconferenza mostra il “girl power” nella “nuova normalità”. Ciò che prima erano incontri e riunioni in presenza sono diventati, da 12 mesi, attività da remoto. Vediamo le persone, possiamo parlare, condividere documenti, tutto attraverso uno schermo. Perché le donne sono più efficaci degli uomini in remoto? La risposta risiede in una capacità specifica del sistema nervoso femminile: la maggiore accuratezza nel cogliere le risposte emotive. Esattamente 20 anni fa, 2 ricercatrici, Thayer e Johnsen, hanno dimostrato come le donne abbiano un tasso di precisione migliore degli uomini nel definire le emozioni osservando il volto. La maggiore intuizione visiva vale sia per i volti femminili che maschili. Le persone in videoconferenza sono piccoli riquadri. Riuscire a leggere le ricadute emotive di ciò di cui si sta parlando è oggettivamente più difficile attraverso un pc, rispetto a quando le persone sono nella stessa stanza. Le donne lo fanno con maggiore naturalezza e semplicità. Ogni attività che prevede una relazione dipende dalla capacità di capire l’altro. Intuire la reazione altrui, che sia un cliente o un collaboratore, passa in primis per l’espressione del viso, coglierla determina la differenza tra successo e insuccesso. L’uso massiccio della tecnologia evidenzia questa diversità tra cervello maschile e femminile, estremizzandone i risultati.
Il secondo grande cambiamento connesso allo smartworking è l’agenda, un diverso uso del tempo. Prima del virus, gli orari di lavoro erano più precisi, soprattutto in ufficio. Anche la separazione tra vita lavorativa e privata era più scandita. Ci si recava in un luogo per lavorare in determinate fasce orarie. Questa chiarezza nei tempi salta con il covid. Non contano le ore di presenza, ma i risultati. La vita familiare è compenetrata a quella lavorativa. Le agende diventano complesse, impegni lavorativi e personali si mischiano, si salta da una cosa all’altra. In questo caos da agenda emerge un’abilità tutta femminile: il multitasking. Il cervello femminile è più produttivo di quello maschile quando si salta da un tema all’altro, da un compito all’altro. Il cervello maschile è più efficiente di quello femminile quando si concentra su uno specifico “task” per tempi lunghi. Julie Jhonson in “The female vision” riassume questo approccio tipico delle donne. Essere multitasking, letteralmente fare più cose in parallelo, è un prerequisito essenziale per lavorare in smartworking. Il mix tra vita lavorativa e privata lo rende obbligato. I nuovi modelli organizzativi impediscono di stare troppo tempo su un tema, il cervello quando lavora in digitale tende a stancarsi. Una riunione in presenza di 3 ore, si trasforma in 3 riunioni virtuali da 1 ora. Questa nuova impostazione del tempo costringe a spostare di continuo l’attenzione su più cose. L’attitudine femminile al multitasking favorisce le donne nei nuovi processi organizzativi.
A riprova di queste 2 dinamiche, una ricerca pubblicata nel 2020 da Joao Paraskeva, dal titolo “Leadership in virtual team”, dimostra che i gruppi di lavoro più produttivi in pandemia, nelle più grandi organizzazioni, avevano una responsabile donna.
Leggere dati che evidenziano gender gap retributivo ed evidenti discriminazioni nei percorsi di carriera, non è più solo un tema etico, sociale o politico. Significa ignorare completamente tutta la ricerca neuroscientifica degli ultimi 20 anni. Implica fare finta che il lavoro in pandemia, sia come
prima, ma non lo è, non lo sarà, anche risolta la questione sanitaria. Il “new normal” porta con sé nuovi processi e strumenti. Il cervello femminile si adatta meglio a questi cambiamenti. Se le scelte aziendali, fossero guidate dalle neuroscienze, si dovrebbero instaurare delle “quote azzurre”, altro che quote rosa.